In Australia sette grandi città e 12 milioni di abitanti, quasi metà della popolazione totale, sono tornati in lockdown a causa della variante Delta. 200 i casi di contagio in un Paese che fin da subito è stato in grado di tenere l’epidemia sotto controllo, ma che adesso si trova indifeso a causa di una campagna vaccinale troppo lenta, complicata dalle restrizioni su Astrazeneca. Marina Freri, caporedattore al servizio radiofonico dell’emittente australiana ABC, fa il punto della situazione. Intanto la Russia segna il record di vittime, 669 morti, e oltre 21mila nuovi contagi, sospinti dalla variante Delta. No alla vaccinazione obbligatoria ma “fidatevi dei vaccini”, è il messaggio di Putin ai russi, ma il Cremlino resta contrario a qualsiasi tipo di lockdown. Ce ne parla Mattia Bagnoli, corrispondente ANSA da Mosca. In questa puntata anche il reportage CNN sulla ondata di caldo eccezionale che sta colpendo il Canada e gli Stati Uniti nordoccidentali. Conduce Ilario Piagnerelli.
Monthly Archives: giugno 2021
La svolta del Tigrai
Dopo 8 mesi, arriva la svolta per l’Etiopia. Le forze del Fronte di liberazione del Tigrai (TPLF) hanno riconquistato la capitale della regione Macallé. È uno sviluppo significativo: a novembre premier etiope Abiy Ahmed aveva detto che la guerra civile era finita e dichiarato sconfitto il TPLF, che in realtà non ha mai smesso di combattere.
Ne parliamo con Federico Donelli, Ricercatore di Relazioni Internazionali Università di Genova esperto del Corno d’Africa
Inoltre, ritirandosi, membri delle forze governative etiopi sono entrati negli uffici di Macallè, nel Tigray dell’Unicef smantellando le loro attrezzature. Sentiamo il commento di Michele Servadei Vice rappresentante dell’Unicef in Etiopia
Conduce: Marina Lalovic
Combattere l’Isis in Africa
Lo Stato islamico è sconfitto sul territorio ma non sradicato. E’ il messaggio lanciato nella Conferenza della coalizione anti-Isis a Roma, presieduta dal ministro degli esteri Luigi Di Maio e il segretario di Stato degli Stati Uniti, Antony Blinken. Hanno partecipato più di 80 paesi e oltre 40 ministri degli esteri a Roma.
Il posizionamento dell’Isis in Africa, rimpatrio dei foreign-fighters dalla Siria e Iraq e la minaccia dell’Isis in Afghanistan, sono alcuni dei punti discussi con Francesco Strazzari, professore della Scuola Superiore Sant’Anna Pisa
Conduce Marina Lalovic
Jugoslavia 30 anni fa – L’ultima guerra d’Europa
Trent’anni fa la guerra torna in Europa. La dissoluzione della ex Jugoslavia inizia il 25 giugno 1991 dopo che la più settentrionale delle repubbliche federali jugoslave, la Slovenia, dichiara la propria indipendenza.
Da quel fine giugno, guerra in ex Jugoslavia durerà per dieci anni. Dalla Slovenia passa in Croazia e poi la Bosnia che rappresenta il suo capitolo più sanguinoso con circa 100.000 vittime e oltre due milioni di rifugiati e sfollati. Ultimo atto della guerra: Kosovo e Macedonia.
A 30 anni di distanza la vita degli ex jugoslavi è ancora affetta da quella guerra.
Ci sono voluti più di vent’anni per portare alla sbarra i responsabili delle atrocità commesse durante la guerra in ex Jugoslavia. Il Tribunale penale internazionale per l’ex Jugoslavia, una corte delle Nazioni Unite attiva tra il 1993 e il 2017, ha condannato 90 criminali di guerra e ne ha processato più di 160.
L’8 giugno, con la sentenza di secondo grado e la condanna all’ergastolo a Ratko Mladic, si chiude un’epoca, anche se le ferite sono ancora aperte
Il nostro viaggio parte da Belgrado proseguendo per Srebrenica e Sarajevo dove abbiamo incontrato i superstiti di quella guerra, i giovani che combattono il nazionalismo ancora presente sul territorio e alcuni dei condannati dal Tribunale dell’Aja
Di Marina Lalovic, Alessandro Carboni, Andrea Vaccarella
Progetto realizzato in collaborazione con Journalismfund.eu
Conduce: Ilario Piagnerelli
Ungheria contro tutti
Il Parlamento di Budapest ha approvato una nuova legge per impedire la “propaganda omosessuale” in scuole e pubblicità per minorenni. I leader dell’Unione Europea condannano la norma: per la presidente della Commissione Ue, Ursula von der Leyen “il disegno di legge ungherese è una vergogna”.
Ospite Stefano Bottoni, docente di Storia dell’Europa Orientale all’Università di Firenze.
Conduce Emma Farnè
Il destino della Libia a Berlino
A Berlino, si tenta di stabilizzare la Libia in vista alle prossime elezioni di dicembre. Ci sono i ministri degli Esteri di molti paesi coinvolti da vicino nelle vicende del paese africano, Italia inclusa, e rappresentanti di entrambe le parti libiche. Molte cose sono cambiate rispetto a un anno e mezzo fa quando si è tenuto il primo vertice nella capitale tedesca. C’è un nuovo esecutivo diretto da Abdelhamid Dabaiba che dovrebbe gestire il paese e portarlo alle elezioni previste per il 24 dicembre. Ma c’è l’incognita dei mercenari provenienti dalla Russia, Siria, Ciad e Sudan. Inoltre, Il generale Haftar e il suo clan sono soddisfatti delle posizioni che hanno? Ne parliamo con Arturo Varvelli, Direttore European Council for foreign relations Roma
Conduce Marina Lalovic
La (ri)nascita del giornalismo
In questa puntata di Checkpoint abbiamo cercato di raccontare alcune sfaccettature del giornalismo contemporaneo. Un primo esempio è il ruolo cruciale dei cittadini che si trovano ad essere testimoni e filmano con il cellulare che diventa uno strumento di denuncia come nella Repubblica Ceca, dove un cittadino rom è morto dopo che per alcuni minuti un agente gli ha premuto un ginocchio sulla schiena: la vittima è stata definita “il George Floyd ceco”, riportando alla memoria anche il video girato da Darnella Frazier, che per questo ha ricevuto una menzione speciale del Premio Pulitzer. Un altro è lo slow journalism, il giornalismo che decide di uscire dalla logica del clickbait e della velocità a tutti i costi. Ne abbiamo parlato con Alberto Puliafito direttore del documentario Slow News e della omonima testata che ha spiegato come in questi anni sia nata una rete internazionale di giornali che scelgono questo modo di informare.
Abiy Ahmed – da Nobel per la Pace a premier di guerra
Le elezioni parlamentari in Etiopia – già rimandate due volte – sono il primo test politico nazionale per il premier Abiy Ahmed. Salito al potere nel 2018, incoronato con il Nobel per la Pace nel 2019, aveva promesso un processo di riconciliazione nazionale di cui questo voto avrebbe dovuto essere il culmine invece arriva nel momento in cui la sua credibilità è in discussione. Tre le ragioni principali: la dura repressione interna (dalla guerra in Tigray agli arresti e violenze di massa in Oromia), il voto rinviato in un collegio su 5 per ragioni “logistiche e di sicurezza” e l’assenza dei principali partiti di opposizione. L’OLF il Fronte di Liberazione Oromo e l’OFC, il Congresso Federalista Oromo si sono infatti ritirati in segno di protesta lasciando il Partito della Prosperità di Ahmed a correre da solo in numerosi distretti. Che ritratto politico esce del premier? E quale fotografia dell’Etiopia uscirà dalle elezioni? Ne abbiamo parlato con Uoldelul Chelati Dirar, professore di Storia e Istituzioni dei Paesi Africani all’Università di Macerata.
L’Iran boicotta il voto. Vince un falco. Che farà Biden?
Il conservatore Ebrahim Raisi superfavorito alle presidenziali iraniane. Ma il Paese, disilluso e schiacciato da sanzioni americane e corruzione, diserta le urne. Raisi esprime il “deep state” e il mondo clericale sciita ultraconservatore. Che farà ora Biden? Userà il punto debole dell’alta astensione per chiedere concessioni al nuovo leader? Una cosa è certa: nell’ottica della nuova contrapposizione con la Cina l’Iran è essenziale per l’Occidente. A Checkpoint l’analisi del prof. Pejman Abdolmohammadi, docente di storia e politica del Medioriente all’università di Trento. In chiusura di puntata, la giornata di un bambino palestinese nel quartiere conteso di Sheikh Jarrah a Gerusalemme. Conduce Ilario Piagnerelli.
La Tunisia in rivolta: le rivendicazioni e la sorveglianza
La Tunisia è nel pieno di una crisi istituzionale, economica – con il turismo paralizzato dal covid, la disoccupazione alle stelle e il debito pubblico che ha raggiunto il 100% del PIL – e sociale. Da giorni sono in corso proteste contro la violenza impunita della polizia e le crescenti minacce alla libertà di espressione. Ad accendere la miccia sono stati un video in cui si vedono alcuni agenti aggredire e umiliare e un ragazzo e la morte di un uomo mentre era in custodia della polizia ma le ragioni sono molto più ramificate – ha spiegato a Checkpoint Leila Belhadj Mohamed, attivista con una profonda conoscenza del Paese, ricordando anche il doppio ruolo dei social media, che sono sia strumento di denuncia che di repressione. Al centro della puntata anche il ritorno in Costa d’Avorio dell’ex presidente Laurent Gbagbo e la morte di Kenneth Kaunda, primo presidente dello Zambia.